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Strade cittadine: sono tutte pubbliche?

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Mi trovo in una situazione curiosa. Davo per scontato che le strade cittadine fossero tutte comunali, invece ho scoperto che alcune, seppure a tutti gli effetti strade a uso pubblico, risultano a catasto terreni privati seminativi anche se ormai presenti da più di mezzo secolo. Come e chi deve ovviare a tale anomalia e come fare in modo attivare tale procedura di regolarizzazione? Ringrazio per la cortese attenzione. Saluti.

Le strade esterne all’abitato e destinate prevalentemente al servizio dell’agricoltura, sono definite “vicinali” (cfr. A.M. SANDULLI, Manuale di Diritto Amministrativo, Novene, Napoli, II, pag.813). Esse vengono formate mediante conferimento di suolo dai vari proprietari, dando luogo a una comunione per la quale il godimento non è iure servitutis, ma iure proprietatis, in quanto tutti gli utilizzatori hanno contribuito alla loro apertura. Le porzioni di suolo conferito, pertanto, non restano nella proprietà individuale di ciascuno dei proprietari conferenti, ma danno luogo alla formazione di un nuovo bene, oggetto di comunione e goduto da tutti in base a un comune diritto di proprietà. La materia è attualmente regolata dalla Legge 20 marzo 1865 n. 2248, dal Decreto Legislativo Luogotenenziale 1° settembre 1918 n. 1446 e dalla Legge 12 febbraio 1958 n. 126. Ai sensi della Legge 20 marzo 1865 n. 2248 allegato F, la riparazione e la conservazione delle strade vicinali è a carico degli utenti; il municipio può essere tenuto a concorrere alle spese per le strade vicinali più importanti (art. 51).

Le strade vicinali, sempre di proprietà privata, possono essere soggette a uso privato o pubblico; devono ritenersi strade vicinali soggette a uso pubblico le vie agrarie che, originariamente di natura privata, siano state successivamente aperte al pubblico transito, anche se non classificate come tali e non inserite nell’elenco delle strade pubbliche. L’uso pubblico, infatti, non può essere affermato solo sulla base dell’iscrizione della strada nell’elenco formato dalla pubblica amministrazione delle vie gravate di uso pubblico, in quanto lo stesso non ha natura costitutiva, ma meramente dichiarativa.

Affinché una strada vicinale possa considerarsi di uso pubblico devono sussistere:

1) Il passaggio esercitato a seguito di costituzione di servitù pubblica da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale, quale ad esempio un comune o una frazione;

2) la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di pubblico interesse quale, ad esempio, il collegamento con la pubblica via;

3) un titolo valido a sorreggere l’affermazione di uso pubblico.  

Si conferma che le strade vicinali aperte al pubblico passaggio, ancorché private e non inserite nell’elenco delle strade pubbliche, sono da considerarsi a tutti gli effetti ad uso pubblico, e pertanto, ai sensi dell’art. 37 c. 1 lett. c) del vigente Codice della Strada (DLg n. 285/1992), e secondo la definizione di cui all’art. 2 c. 5 lett. D), ultimo periodo, del medesimo, al Comune spetta l’apposizione e la manutenzione della relativa segnaletica. (f.d.)

La Polizia Locale arresta due persone per tentato furto di veicolo

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A Torino, durante un controllo ordinario del territorio, gli agenti di una pattuglia del Reparto Informativo Sicurezza Integrazione della Polizia Locale hanno posto due uomini in stato d’arresto per furto aggravato.

Secondo una nota diffusa sul sito del Comune, gli agenti hanno notato movimenti sospetti di persone intorno ad alcuni veicoli parcheggiati in una strada cittadina. Si sono avvicinati e hanno constatato che uno dei due individui stava forzando la portiera di un veicolo, mentre l’altro era salito a bordo di un’altra vettura. “A quel punto sono intervenuti fermando subito quello a bordo del veicolo e, dopo un breve inseguimento, anche l’altro che nel frattempo aveva tentato di darsi alla fuga”.

Portati al Comando per gli accertamenti di rito, i due sono stati posti in stato d’arresto per furto aggravato su disposizione del Pubblico Ministero di turno e successivamente trasferiti nella Casa Circondariale Lorusso e Cutugno. “Il procedimento penale si trova attualmente nella fase delle indagini preliminari, pertanto vige la presunzione di non colpevolezza dell’indagato, sino alla sentenza definitiva”.

Sequestrati prodotti alimentari trasportati senza rispettare la “catena del freddo”

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Nei giorni scorsi il personale appartenente alla Squadra Nord della Polizia Locale di Padova, nel corso della normale attività di polizia stradale, ha proceduto al controllo di un autocarro. Gli operatori hanno accertato che il conducente, cittadino di nazionalità straniera, regolarmente residente in Italia, stava effettuando il trasporto di sostanze alimentari (che riportavano in  etichetta l’obbligo di conservazione a temperatura -18°), non in regime di temperatura controllata, visto che il veicolo era privo del refrigeratore.

Insieme al personale tecnico del Servizio Veterinario della locale Unità Sanitaria, chiamato a intervenire per le questioni di propria competenza, sono stati sequestrati 444 kg di generi alimentari costituiti da formaggi freschi, yogurt, latte fresco e carne confezionata.

Il conducente, sulla base degli accertamenti compiuti dalla pattuglia, è risultato recidivo, essendo incorso nella medesima violazione nel 2019, accertamento anche allora effettuato dalla Polizia Locale di Padova.

Cantiere edile privo di autorizzazioni, interviene la PL

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Gli agenti della Polizia Locale del Comando Territoriale VIII e i tecnici del Servizio Vigilanza Edilizia del Comune di Torino, hanno effettuato nei giorni scorsi un sopralluogo ispettivo in un cantiere nella zona precollinare della città, dove hanno accertato la realizzazione in corso d’opera di una costruzione interrata in cemento armato con sviluppo planimetrico di 70 metri quadri non compresa nel permesso di costruire rilasciato dal Comune.

La notizia è riportata in una nota stampa siglata (e.b.).

“Trattandosi di un manufatto abusivo ubicato in un’area  soggetta a vincolo paesaggistico ambientale privo anche del progetto strutturale – si legge –, gli ufficiali della Polizia Locale lo hanno posto sotto sequestro giudiziario preventivo,  mentre gli ispettori del Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro (S.Pre.S.A.L.), intervenuti per criticità relative alla sicurezza dei luoghi di lavoro, hanno rilevato gravi rischi per i lavoratori inerenti pericoli di caduta dall’alto, folgorazione e seppellimento e di conseguenza hanno disposto l’immediata sospensione di tutte le lavorazioni relative alla parte restante del cantiere non interessata dal sequestro. Gli stessi ispettori dello S.Pre.SA.L. hanno rilevato altre gravi mancanze documentali, tra cui l’assenza della Notifica Preliminare agli Enti preposti, la mancanza della nomina del Coordinatore della Sicurezza in fase di Esecuzione e la redazione dei Piani Operativi di Sicurezza dell’impresa. Tutte le violazioni riscontrate in materia di edilizia e urbanistica, nonché di sicurezza nei luoghi di lavoro, saranno denunciate all’Autorità Giudiziaria”.

Nella foto una vista di Torino, con la Mole Antonelliana

Truffa con il gioco delle tre carte

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Ricordate il vecchio refrain “carta vince, carta perde”? Era una frase usata dai saltimbanchi protagonisti delle fiere di paese. Ebbene, a Firenze si sente ancora.

Continua l’attenzione della Polizia Locale ai tentativi di truffa con il gioco delle tre carte. L’ultimo intervento risale ad alcuni giorni fa.  

“Una pattuglia del Reparto Antidegrado – si legge in una nota stampa a firma m.f. – ha colto sul fatto una persona dedita a questa forma di truffa ai danni dei cittadini e in particolare dei turisti nella zona di Ponte Vecchio. L’uomo è stato sanzionato (per un totale di 260 euro); le attrezzature necessarie per la truffa (ovvero un tappetino, una pallina di carta e tre scatoline) e il denaro in suo possesso (300 dollari e 100 euro provento dell’attività illecita) sono state sequestrati. Per l’uomo è scattato anche l’ordine di allontanamento dall’area del Quadrilatero Romano per 48 ore”.

Numerose iniziative dei Comuni per l’8 marzo

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La Giornata internazionale dei diritti delle donne sarà celebrata in tutta Italia con dibattiti, mostre, incontri con le scuole.

Numerosi, inoltre, i monumenti che saranno illuminati di giallo.

L’Anci ha invitato le amministrazioni locali “a compiere un gesto simbolico per accendere i riflettori sui temi delle pari opportunità che riguardano la comunità intera illuminando con un fascio di luce gialla un monumento significativo della città come elemento visivo per dare risalto alle iniziative promosse” (nella foto il municipio di Afragola).

Sul sito dell’Anci informazioni sul programma delle iniziative organizzate per l’8 marzo da nord a sud.

A Macomer PolDay in collaborazione con Aspol

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“La Polizia Giudiziaria nei controlli stradali. L’oltraggio a pubblico ufficiale e il requisito della presenza di più persone” sarà il tema della giornata formativa gratuita che si svolgerà lunedì 25 marzo.

Relatore di prestigio il professor Ugo Terracciano, docente dell’Università Chieti e Pescara, presidente Criminologia AICIS.

Per partecipare è sufficiente registrarsi qui >> https://passlab.it/PolDayMacomer/

Appuntamento al Centro Servizi Culturali U.N.L.A – Ex Caserme Mura
Viale A. Gramsci, Macomer (NU), dalle 8.30 alle 13.30.

Rifiuti, quali sanzioni?

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Cosa rischia il cittadino che viene sorpreso ad abbandonare i rifiuti?

Con l’entra in vigore, dal 10 ottobre 2023, della Legge n. 137, che converte, con modificazioni, il Decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, sono cambiate, tra l’altro, le regole contro l’abbandono dei rifiuti a opera del privato cittadino. Il legislatore, ritenendo di forte allarme sociale la problematica degli abbandoni dei rifiuti, è intervenuto con mano pesante per punire penalmente anche la condotta illecita commessa dal privato cittadino, con l’articolo 6 ter del Decreto legge 10 agosto 2023, n. 105 (modificato dalla Legge di conversione n. 137/2023).

In buona sostanza, si interviene modificando il comma 1 dell’articolo 255 del Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Si prevede che “1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni degli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2 e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con l’ammenda da mille euro a diecimila euro. Se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la pena è aumentata fino al doppio”.

Allo stato attuale l’abbandono dei rifiuti (e il relativo deposito incontrollato), nel testo del Decreto legislativo 152/2006, è punito penalmente sia se l’illecito venga commesso da un cittadino comune, soggetto formalmente privato (articolo 255, comma 1), sia nel caso in cui il trasgressore rivesta una particolare qualifica giuridica, quale il titolare di impresa (imprenditore individuale) e/o rappresentante di un ente, rappresentante di una persona giuridica (articolo 256, comma 2).

Come trasportare correttamente le biciclette?

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A proposito dell’utilizzo dei dispositivi portabici e targa ripetitrice, quali sono le conseguenze amministrative, civili e penali per eventuali violazioni?

Le biciclette possono essere trasportate sul tetto o sul retro dell’automobile o autocaravan con dispositivi omologati e che rispettino determinati limiti di sagoma e di portata, a patto che non venga compromessa la visibilità del conducente e della targa, e che i dispositivi di illuminazione siano ben visibili.
Si può ritenere che l’utilizzo dei portabici per auto siano equiparati ai portapacchi, così come i portasci. Sono considerati accessori leggeri e amovibili, che non modificano in modo significativo la massa a vuoto del veicolo. Non costituiscono, dunque, modifica della carrozzeria e della meccanica dell’automobile e quindi non è necessario effettuare alcuna variazione nella carta di circolazione.
Il decreto del ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (allora MIT) del 30 dicembre 2019 ha determinato le caratteristiche e le modalità di installazione delle strutture portasci, portabiciclette o portabagagli, applicate a sbalzo posteriormente o, per le sole strutture portabiciclette, anche anteriormente, sugli autobus da noleggio, di gran turismo e di linea, di categoria M2 ed M3. Per i veicoli M1 non sono stati emanati decreti o specifiche direttive, ma solo alcune circolari tra le quali quelle sopra citate.
Mentre il ministero si era già espresso in senso negativo quanto alla targa ripetitrice per i veicoli M1 nel caso di installazione di portabiciclette, il decreto, per i veicoli M2 e M3, ha espressamente previsto che “in caso di ostruzione anche parziale della targa, al fine di consentire l’utilizzo della struttura portabiciclette, si dispone l’impiego della targa ripetitrice di cui all’art. 100 del Codice della strada con le modalità previste per il carrello appendice”. Ha disposto, inoltre, che “la struttura posteriore e il relativo carico, se non è necessario ripetere la targa posteriore e le luci, sono da ritenersi assimilate al carico sporgente e, pertanto, dovranno essere indicate con apposito segnale di cui all’art. 164 comma 6 del Codice della strada e all’articolo 361 del Regolamento di esecuzione”. Quindi, appare chiaro che tale indicazione valga anche per i veicoli M1 e che, una volta caricate le biciclette, si debba rispettare il disposto dell’articolo 164, anche relativamente al comma 6, in quanto carico sporgente oltre la sagoma del veicolo.
Secondo le indicazioni del ministero, l’installazione dei dispositivi in esame sui veicoli classificati M1 è ritenuta non soggetta ad alcune formalità in quanto tali strutture, una volta installate, si devono intendere come facenti parte del veicolo stesso e non come un carico. In tal senso, non si ritiene applicabile l’articolo 164 se la struttura non è stata caricata, fermo restando il principio generale dell’articolo 140 del Codice della strada, la cui inosservanza, anche senza che siano applicabili sanzioni amministrative, è sufficiente a radicare la responsabilità penale e civile in caso di danni ascrivibili imprudenza e negligenza (se tali condizioni si ravvisano nell’aver circolato con la struttura aperta e non segnalata, ancorché in assenza di una specifica disposizione).

Una semplice somma algebrica
Tali conclusioni si possono adottare anche per il gancio di traino amovibile, la cui rimozione nel caso di inutilizzo non è prevista da norme positive e, anche ove fosse prevista come prescrizione riportata sulla carta di circolazione, la sua inosservanza non darebbe luogo a una specifica sanzione, salvo che la rimozione sia preordinata a evitare il parziale occultamento della targa, situazione nella quale troverebbe applicazione l’articolo 102, comma 7.
Sulle modalità di carico si precisa che questo può sporgere posteriormente fino ai 3/10 della lunghezza del veicolo stesso. Se, ad esempio, una autovettura è lunga 3,6 metri, macchina e sporgenza del carico devono avere una lunghezza totale di 4,68 metri, ovvero la parte sporgente del carico non deve superare 1,08 metri.
Per quanto concerne la larghezza, la bicicletta può sporgere al massimo di 30 cm per lato, misurando dalle luci di posizione anteriori o posteriori, ma deve essere sempre garantita la visibilità delle medesime luci. Quindi se, ad esempio, l’autovettura è larga 180 cm, la larghezza massima è di 180+30+30 = 240 cm.
Nel caso in cui un portabici sia stato montato sul tetto, si ricorda che l’altezza massima consentita dal Codice della strada per qualsiasi autoveicolo è di 4 metri senza possibilità di alcuna tolleranza.
Qualora non siano rispettate tali disposizioni, il responsabile va a incorrere nella sanzione di cui all’art. 61 del Codice della strada per superamento dei limiti di sagoma.

Portabici senza… bici
È consentito circolare con il portabici non caricato in quanto non esistono disposizioni normative o ministeriali che lo impediscano. Non esistendo direttive del ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili e della Direzione generale per la motorizzazione, dovrebbe valere la prassi che consente la circolazione con il portabici montato, ancorché non utilizzato.
La circolare Prot. n. 1906/4120 del 6 maggio 1999, già citata, ha ribadito che portabiciclette e portasci, trattandosi di accessori leggeri e amovibili, possono essere applicati sulle autovetture e autocaravan senza incorrere nella violazione dell’articolo 78 del Codice della strada e pertanto – come già evidenziato – non è necessario procedere alla loro annotazione sulla carta di circolazione del veicolo.
Non è ammessa, ovviamente, la copertura della targa. Trattandosi pur sempre di sistemazione del carico, deve avvenire nel rispetto dell’articolo 164, nella parte in cui prescrive che il carico dei veicoli deve essere sistemato in modo“da evitare la caduta o la dispersione dello stesso; da non diminuire la visibilità al conducente né impedirgli la libertà dei movimenti nella guida; da non compromettere la stabilità del veicolo; da non mascherare dispositivi di illuminazione e di segnalazione visiva né le targhe di riconoscimento e i segnali fatti col braccio”.
Sullo stesso piano interpretativo si era posto il ministero nella circolare del 1998 già citata, disponendo che incombe sul conducente la corretta sistemazione del carico, ai sensi dell’art. 164 del Codice della strada. In particolare, raccomanda l’esigenza di assicurare la completa visibilità dei dispositivi di illuminazione e di segnalazione visiva, e della targa. La targa ripetitrice è, invece, ammessa nel caso di agganciamento di rimorchi, compresi i carrelli appendice.
La maggior parte dei modelli commercializzati in Italia è realizzata in modo da non occultare le targhe e i dispositivi di illuminazione dei veicoli. Ne esistono, tuttavia, alcuni che non rispettano la disposizione. Per questo le case costruttrici vendono strutture per la collocazione della targa, con luci supplementari che, a parere di chi scrive, non sono utilizzabili in Italia, almeno secondo le norme vigenti e salvo un diverso indirizzo ministeriale. Si conferma, pertanto, quanto riportato dall’art. 100 comma 4 del Codice della strada, che prevede la possibilità di utilizzare la targa ripetitrice “esclusivamente nel caso di carrelli appendice”, anche se parte della dottrina sostiene che se le strutture portabici hanno avuto l’omologazione del “vano targa”, sia possibile staccare la targa dal veicolo per collocarla in tale “vano” per consentire la visibilità della stessa.
Tale ultima ipotesi lascia, comunque, alquanto perplessi circa la fattibilità e la legittimità operativa.
Quindi, secondo le indicazioni ministeriali, i portabiciclette sono consentiti e di conseguenza pare ovvio che il trasporto dei velocipedi su tali strutture sia da ritenersi consentito, in deroga all’articolo 164 del Codice della strada circa le sporgenze che, si ricorda, sarebbero consentite solo per cose indivisibili, mentre è evidente che un carico di più biciclette costituisca carico divisibile.
Luci e targa ben visibili
Oltre al rispetto delle prescrizioni sulla sistemazione del carico di cui all’articolo 164 del Codice della strada (vedi box “Corretta installazione), il conducente del veicolo dovrà assicurare la completa visibilità dei dispositivi di illuminazione e di segnalazione visiva, nonché della targa. La superficie esterna delle strutture non deve presentare parti orientate verso l’esterno suscettibili di agganciare pedoni, ciclisti o motociclisti (si veda la circolare del ministero dei Trasporti e della navigazione prot. n. 2522/4332 sopra citata). Il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti con nota prot. n. 5887 – 5990 DIV 3 B del 3 marzo 2016 ha precisato: “In merito a quanto rappresentato circa l’installazione di portabiciclette a sbalzo si conferma che tale operazione è consentita nel rispetto delle circolari ministeriali del 21 novembre 1998 e del 6 maggio 1999. In particolare, devono essere soddisfatte le condizioni di una corretta installazione delle strutture di sostegno della bicicletta e il mantenimento della visibilità dei dispositivi di illuminazione e segnalazione visiva a luce propria e riflessa nonché la visibilità della targa. Si conferma, altresì, quanto riportato dall’art. 100 comma 4 del Codice della strada che prevede la possibilità di utilizzare la targa ripetitrice esclusivamente nel caso di carrelli appendice”.

Quali sanzioni
Da un punto di vista amministrativo la violazione di una qualsiasi delle prescrizioni comporta una sanzione amministrativa nella forbice di un minimo di 85 euro a un massimo di 338 euro, nonché il ritiro immediato della carta di circolazione e della patente di guida che deve essere annotata nel verbale di contestazione (art. 164 del Codice della strada). Se il carico può essere sistemato al momento, l’accertatore provvede alla restituzione dei documenti, annotando il tutto sul verbale di contestazione. Se, invece, dovesse essere necessario spostare il veicolo per provvedere alla sistemazione del carico, il conducente deve richiedere la restituzione dei documenti ritirati al Comando da cui dipende l’organo accertatore. Come conseguenza della violazione delle prescrizioni relative alla sistemazione dei carichi sporgenti è, inoltre, prevista la decurtazione di 3 punti dalla patente di guida. Qualora la struttura apposta non rendesse visibile la targa del veicolo, troverebbero applicazione anche la sanzione prevista dall’art. 100 del Codice della strada.

Danni in materia civile
Dal punto di vista civilistico in materia di danno derivante dalla perdita del carico o di accessori da un veicolo nell’ambito della circolazione stradale, va precisato come l’orientamento giurisprudenziale maggioritario si è mostrato incline a riconoscere, a carico di un soggetto, la risarcibilità del danno stesso (essenzialmente) ai sensi dell’art. 2043 in combinato all’art. 2053 del Codice civile, ove dipeso anche da un “pericolo occulto” (insidia o trabocchetto). Per molti anni l’orientamento predominante della giurisprudenza è rimasto ancorato ai concetti di “insidia e trabocchetto” in rapporto all’art. 2043 del Codice civile, quale figura sintomatica dell’attività colposa, ricorrente in presenza di due presupposti congiunti: l’elemento oggettivo della non visibilità del pericolo e l’elemento soggettivo della non prevedibilità dello stesso, secondo le regole della comune diligenza. Pertanto, appare evidente come la perdita improvvisa o non di un portabiciclette, della bicicletta o di entrambi sulla strada, possano creare una situazione di “insidia” per la circolazione e determinare un evento incidentale con un “nesso eziologico” diretto tra la causa e l’incidente stesso, con eventuale obbligo di risarcimento a carico del responsabile. Ad esempio, a seguito della perdita su strada del portabiciclette un’autovettura sbanda e finisce fuori strada, con danni alla medesima e al conducente.

Se la responsabilità è penale
Passando dal punto di vista civilistico a quello penalistico, se rapportiamo la condizione suesposta con quanto espressamente previsto anche dalla legge n. 41/2016 – che ha stabilito con l’art. 589 bis in materia di “omicidio stradale” che “chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni” – può essere interessante far notare come la formula “violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale”, fatta propria dalla predetta disposizione codicistica, sia altresì presente nell’art. 590-bis c.p. relativamente al reato di lesioni personali stradali gravi o gravissime: “Chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi e da uno a tre anni per le lesioni gravissime”. Ovviamente ai fini del riconoscimento di una eventuale responsabilità penale deve sussistere la medesima condizione di “nesso eziologico” tra la perdita del carico e il sinistro stradale richiamata precedentemente per la responsabilità civile.

Pulizie di primavera, a cosa stare attenti?

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Quali sono i punti di interesse per gli addetti ai controlli in relazione alla gestione degli sfalci e delle potature derivanti da parchi e giardini pubblici e privati?

Con l’arrivo ormai imminente della bella stagione si presentano, puntuali come sempre, i problemi legati alla gestione dei residui vegetali prodotti dalle attività di manutenzione dei parchi e dei giardini sia pubblici che privati. Argomento tutt’altro che semplice da analizzare, più volte modificato dal nostro legislatore.
Con la pubblicazione del D.lgs. 116 del 3 settembre 2020, è entrata definitivamente in vigore la cosiddetta “Circular Economy”. Il provvedimento ha dato attuazione alle direttive europee 2018/851 e 2018/852, che hanno modificato le direttive 2008/98/CE relativa ai rifiuti e 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio 20G00135. Dall’analisi delle disposizioni ritoccate o introdotte ex novo, si distingue, per l’importante ricaduta sui controlli e in generale sulla gestione dei rifiuti da parte dei Comuni, la rimodulata questione riguardante anche sfalci e potature dei giardini pubblici. La modifica normativa, di fatto, sancisce l’impossibilità di trattare i residui della lavorazione del verde pubblico in deroga dal Codice dell’ambiente, considerandoli a tutti gli effetti rifiuti.

Combustione controllata dei residui vegetali agricoli
Alla luce della normativa vigente, a partire dal 26 settembre 2020, non costituiscono rifiuti soltanto quelli (sfalci e potature) agricoli e che derivano da buone pratiche colturali, costituiti da paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso, sempreché siano riutilizzati in agricoltura e in silvicoltura o per la produzione di energia da biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi. La norma precisa, quindi, che l’impiego dei materiali deve avvenire in processi che non arrecano danno all’ambiente o mettono in pericolo la salute umana.
La combustione dei materiali vegetali è regolamentata dal Decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152 (“Codice Ambiente”), che ne rende possibile la pratica solo a determinate condizioni e nel rispetto di precise quantità. L’art. 182 comma 6-bis del D.lgs. 152/2006, sancisce infatti che: “Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata. I comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all’aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili”.
A tal proposito, si ritiene utile evidenziare che pacificamente in giurisprudenza è sostenuto che “In tema di gestione dei rifiuti, l’incenerimento di residui vegetali effettuato nel luogo di produzione al di fuori delle condizioni previste dall’art. 182, comma sesto bis, primo e secondo periodo, D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, integra il reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali non pericolosi di cui all’art. 256, comma primo, lett. a), D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152”.

Sfalci e potature come sottoprodotti
Laddove non ricorrano le condizioni previste per l’applicazione dell’esclusione di cui all’articolo 185, ad esempio in considerazione dell’impiego dei materiali indicati in processi diversi da quelli elencati, potrebbe essere possibile qualificare comunque il residuo come sottoprodotto, dimostrando, però, la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 184-bis del Decreto legislativo n.152/2006, vale a dire che:

a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;        

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.


Bisogna ammettere che il nuovo assetto normativo ha sollevato diversi dubbi interpretativi circa la possibilità di reimpiegare gli sfalci e le potature secondo i principi dell’economia circolare prima di trattarli come rifiuti.
Le Regioni Lombardia e Marche, con due distinte note ufficiali pubblicate, hanno voluto fornire chiarimenti in relazione alle modalità d’impiego di sfalci e ramaglie quando prodotti dall’attività di un agricoltore-florovivaista o da un florovivaista non agricoltore/manutentore del verde.
Riteniamo doveroso riportare le seguenti linee guida, così come emergono dalle citate note regionali:

  • quando il soggetto che effettua l’attività di cura del verde è un agricoltore-florovivaista che raccoglie i residui di lavorazione (come sfalci d’erba e ramaglie) e li riutilizza presso la propria azienda nel ciclo agricolo o per la produzione di biogas, l’attività non viene considerata come una produzione di rifiuto ma come la gestione di materia nello stesso ciclo produttivo;
  • quando il soggetto che effettua l’attività di cura del verde è un florovivaista non agricoltore che raccoglie i residui di lavorazione e li riutilizza presso la propria azienda solo come ammendanti, secondo le condizioni fissate dal D.lgs. n. 75 del 2010 in materia di fertilizzanti che, all’allegato II prevede, ad esempio, l’impiego del compostato per la produzione di ammendanti verdi o misti. l’attività non viene considerata come produzione di rifiuto ma come la gestione di materia nello stesso ciclo produttivo;
  • se il soggetto che effettua l’attività di cura del verde porta i residui di lavorazione a un agricoltore terzo che li inserisce nel ciclo agronomico per la produzione di biogas o per la produzione di materia che usa nella sua attività agricola chiudendo il ciclo del sottoprodotto, il materiale, non configurandosi in partenza come rifiuto, non soggiace alla gestione rifiuti (iscrizione al registro, uso del formulario) ma rientra nella gestione di un sottoprodotto. Il documento di trasporto è il DDS accompagnato dal contratto che identifichi il destinatario e indichi il corretto trattamento (compostaggio) e/o l’utilizzo agronomico;
  • l’imprenditore artigiano può destinare sfalci e potature alla produzione di energia, secondo le disposizioni di cui al Decreto ministeriale 13 ottobre 2016, n. 264, “Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti”.

In sostanza, i residui di lavorazione del verde pubblico o privato possono essere destinati a un utilizzo agricolo purché vi sia adeguata tracciabilità tra il punto di produzione (cioè il punto in cui si svolge il processo produttivo primario da cui si originano i residui della produzione) e il luogo di destinazione nel quale si realizzi un reale utilizzo agronomicamente corretto e riconducibile a una buona pratica agricola. Non sono previsti adempimenti amministrativi per l’imprenditore agricolo che produce “non rifiuti”.

Sfalci e potature come rifiuti urbani e speciali
Alla luce del quadro normativo attuale, gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico dei Comuni e dei privati non rientrano più tra le esclusioni previste dall’art. 185. Restano esclusi da tale disciplina solo gli sfalci e le potature derivanti dall’attività propriamente agricola nell’ambito delle buone pratiche colturali, utilizzati in agricoltura. Qualora non ricorrano le condizioni previste dal 184-bis, essi devono essere gestiti come rifiuti.Se è pacifico definire in modo generale rifiuti i residui vegetali derivanti dalla cura del verde dei giardini pubblici e privati, non è altrettanto semplice procedere alla loro corretta classificazione. Vediamo pertanto come bisogna agire nei diversi casi a seconda dell’attività di provenienza.

>> A. Rifiuti di aree verdi pubbliche (urbani): in base all’art. 183 co. 1 lettera b-ter) punto 5), rientrano in questa classificazione i soli rifiuti derivanti dalla manutenzione del verde pubblico, come anche ribadito dal MiTE con la circolare 51657/2021. Per il trasporto, se non effettuato direttamente dal Comune, è necessaria l’iscrizione nella categoria 1 dell’Albo Gestori Ambientali. A tal proposito, il comitato dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali, con la circolare n. 1 del 14 febbraio 2023, ha voluto chiarire che, qualora l’attività di raccolta e trasporto di tali rifiuti, benché classificati come urbani, sia effettuata dallo stesso soggetto che ha l’appalto o la concessione per la manutenzione del verde, lo stesso è da considerarsi come produttore iniziale del rifiuto e pertanto potrà iscriversi in categoria 2-bis ai sensi dell’art. 212 comma 8 del D.lgs. 152/06. Tali rifiuti devono essere conferiti esclusivamente ad impianti autorizzati.

>> B. Rifiuti di aree verdi private (urbani): sono i rifiuti prodotti da privati cittadini nell’ambito di attività fai da te possono essere conferiti agli impianti pubblici (isole ecologiche e cc.) il trasporto da parte del privato cittadino è esente dall’obbligo di iscrizione all’Albo N.G. A. ed avviene senza formulario;

>> C. Rifiuti di aree verdi private (speciali): sono i residui vegetali prodotti a seguito di intervento manutentivo effettuato da giardiniere (un’impresa in attività artigianale). Per il trasporto di tale tipologia di rifiuti è necessaria l’iscrizione nella cat. 2-bis dell’Albo Gestori Ambientali (art. 212 co. 8) se l’impresa non è già iscritta nelle categorie 4 o 5. Conseguentemente alla non possibilità di classificazione come rifiuti urbani, il conferimento ai centri di raccolta comunali non è più possibile. In ogni caso rimane la possibilità, anche se classificati come speciali, di procedere tramite apposite convenzioni col gestore locale. Il trasporto presso impianti autorizzati dovrà avvenire mediante l’utilizzo del formulario.

Indipendentemente dalla loro classificazione come urbani o speciali, è possibile utilizzare il codice CER 20 02 01 per tutti i residui vegetali derivanti dalla cura di parchi e giardini non risultando utile nessuno degli altri codici previsti per i rifiuti speciali, tale assunto è pacificamente riscontrabile nella suddetta circolare MiTE.

Violazioni e sanzioni

Sono molteplici le sanzioni che potrebbero contraddistinguere le diverse violazioni in ambito alla gestione irregolare dei rifiuti vegetali provenienti dalla cura del verde sia di privati sia pubblici. Per ragioni espositive nel prontuario che segue “Gestione Rifiuti da sfalci e potature” indichiamo le principali casistiche che impegnano maggiormente gli organi di controllo.