Accumuli di alghe, che si fa?

I residui spiaggiati di posidonia sono rifiuti o risorsa ambientale? A chi compete la loro gestione?

In alcuni periodo dell’anno le nostre coste e arenili, a causa del moto ondoso e delle correnti, sovente sono oggetti ad accumuli di Posidonia oceanica. Spesso la presenza di tali accumuli, specie nelle località turistico balneari, è poco gradita ai bagnanti e ad altri fruitori, in particolare quando sono frammisti a rifiuti di origine antropica o, comunque, quando l’innescarsi dei naturali processi di degradazione batterica danno origine a cattivi odori, e come tale, costituisconounfastidio da rimuovere.

Abbiamo sottoposto la questione a Osvaldo Busi, ex Dirigente Comandante PM di Castellammare del Golfo (TP).

Problema per la balneazione

L’accumulo di tali biomasse vegetali spiaggiate, combinandosi con la sabbia, porta alla formazione delle, cosiddette, “banquettes”. Queste strutture lamellari presenti lungo i litorali costieri, svolgono un ruolo importante nella protezione dei litorali dall’erosione, in quanto ostacolano l’azione e l’energia del moto ondoso, contribuendo alla stabilità delle spiagge e della costa. Spesse volte queste “barriere” di piante morte e maleodoranti sulle spiagge limitano notevolmente la idoneità alla balneazione e, pertanto, in questi casi, i comuni costieri ricorrono spesso alla loro rimozione e al conferimento in discarica, per rendere più frequentabili le loro spiagge ai turisti. Tale pratica, però, comporta anche la rimozione di grandi quantità di sabbia che rimane intrappolata nelle “banquettes”, inducendo le amministrazioni locali a successivi interventi di ripascimento delle spiagge e di protezione della costa dall’erosione specie nel periodo invernale quando sono più frequenti le mareggiate.

Le praterie di posidonia sono tutelate da varie convenzioni internazionali e sono classificate dalla normativa comunitaria Direttiva 92/43/CEE “Direttiva Habitat”, recepita in Italia con il Dpr n. 357 del 1997, quali habitat naturali prioritari, ossia tipi di habitat che rischiano di scomparire e per la cui conservazione la Comunità ha una “responsabilità particolare”.

La Regione Sardegna, ritenendo che i residui della posidonia depositati sulle coste e sugli arenili possano essere considerati rifiuti soltanto in presenza della volontà di disfarsene e considerato che la posidonia spiaggiata è uno strumento di difesa naturale contro l’erosione costiera e come tale deve essere considerata una risorsa riutilizzabile, con la legge n. 1/2020 ha introdotto una specifica disciplina di protezione con un duplice obiettivo: da un lato favorire il turismo e dall’altro autorizzare i Comuni o i gestori concessionari, previa comunicazione alla Regione, a spostare temporaneamente gli accumuli di posidonia in zone idonee dello stesso arenile o, qualora non disponibili, in aree idonee appositamente individuate all’interno del territorio del Comune.

Avverso a questa legge, lo Stato ha proposto ricorso alla Corte Costituzionale, ritenendo da un lato competente sé stesso e dall’altro che i materiali spiaggiati devono essere considerati rifiuti. La Corte, con la sentenza n. 86 del 24 marzo-5 maggio 2021, nel ritenere che la posidonia abbia un impatto importante per la tutela dell’ambiente, ha sancito che la sua regolamentazione rientra nella competenza esclusiva del legislatore statale in materia di “tutela dell’ambiente” e “dell’ecosistema” ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), mentre la tutela contenuta nella normativa Regionale della Sardegna in materia di “turismo” può essere esercitata, per quel che riguarda la sua incidenza sulla regolamentazione della posidonia come risorsa ambientale, soltanto quando non risulti in contrasto con la disciplina statale.

In merito alla gestione degli accumuli di posidonia, la Corte Costituzionale ha statuito che è assoggettata, in particolare, alla disciplina dei rifiuti, anche se come precisato dalla stessa – la riconducibilità dei residui della posidonia alla nozione di “rifiuto” non ha quella connotazione negativa associata a tale termine nel linguaggio corrente, ma esprime solo la qualificazione giuridica da cui discende che la gestione di tali accumuli è sottoposta, in particolare, alla disciplina dei rifiuti dettata dalla Parte quarta del D.lgs. n.152 del 2006, in particolare l’art. 183, comma 1, lett. b ter), n. 4, in base al quale i rifiuti “di qualunque natura o provenienza, giacenti (…) sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua”, costituiscono rifiuti urbani, nel cui ambito vi rientra anche la posidonia spiaggiata.

Successivamente, nel 2010, il legislatore con l’art. 39, comma 11, del D.lgs. n. 205, ha introdotto una norma ad hoc in base alla quale la posidonia spiaggiata può essere interrata in situ quando sussistono univoci elementi che fanno ritenere la sua presenza sulla battigia direttamente dipendente da mareggiate o da altre cause comunque naturali, purché ciò avvenga senza trasporto né trattamento, senza incorrere nei reati di deposito incontrollato o di discarica di rifiuti.

Una recente novità, introdotta dall’art. 39 quater del Decreto legge n. 41 del 22 marzo 2021 (“Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19”), convertito nella legge n. 69 del 21 maggio 2021, ha innovato all’articolo 185, comma 1, lettera f), del D.lgs. n. 152 del 2006, escludendo dalla normativa dei rifiuti la posidonia spiaggiata fino al 31 dicembre 2022, “nel caso venga reimmessa nel medesimo ambiente marino o riutilizzata a fini agronomici o in sostituzione di materie prime all’interno di cicli produttivi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana. 

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