Gli anni di pandemia hanno messo in ginocchio molti settori dell’economia; molti bar e ristoranti hanno cercato di aumentare la capienza, incrementando i posti a sedere dei locali, mediante gazebo o pergolati. Il comandante Donato Sangiorgio ci aiuta a fare chiarezza con la normativa vigente.

“I gazebo sono la soluzione perfetta per occupare l’area esterna del locale – afferma Sangiorgio, comandante della Polizia Locale di Apricena – permettono di aumentare il numero dei posti a sedere nel rispetto di uno dei tanti principi delle norme anti Covid 19 che è quello della distanza tra i tavoli. Ed ecco il via alle trovate più disparate, contrastanti, per risolvere le problematiche legate ai permessi per la realizzazione di queste opere, confondendo spesso, o quasi sempre, volutamente o non, tra gazebo e pergolato”.

“Questa definizione resta molto importante non solo per gli uffici preposti a rilasciare i permessi, ma anche per gli organi di polizia giudiziaria che intervengono nei controlli. Vediamo di mettere un po’ di ordine, servendoci di una recentissima sentenza del T.A.R. Campania Sez. II. del 29-11-2021”.

Come si è espressa la giurisprudenza amministrativa in merito alla distinzione tra le due strutture? “In più occasioni – spiega il comandante Sangiorgio – la giurisprudenza amministrativa, compreso il Consiglio di Stato, hanno asserito che il manufatto in tubolari in ferro è assolutamente assimilabile a un gazebo piuttosto che a un pergolato, consistendo in una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore e aperta ai lati, avente la funzione di garantire in modo permanente la migliore fruibilità di uno spazio aperto. Diversamente, il pergolato si configura come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o di altro materiale di minimo peso, aperto su almeno tre lati e nella parte superiore nonché facilmente amovibile in quanto privo fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, a mezzo delle quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni”.

Necessità dei permessi per i gazebo


I gazebo non precari, dichiara il comandante di Apricena, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti (nello specifico connesse allo svolgimento dell’attività commerciale), “vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico e conseguente necessità del previo rilascio del permesso di costruire, a nulla rilevando la precarietà strutturale dei manufatti, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere continuativo e non occasionale dell’attività svolta.

Non è da considerarsi opera precaria ai fini autorizzativi e dell’esenzione dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione, anche se con la reiterazione della presenza del manufatto di anno in anno nella sola buona stagione: infatti, la precarietà non va confusa con la stagionalità, vale a dire con l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura, poiché un utilizzo siffatto non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma durature nel tempo”.

Il gazebo – prosegue Sangiorgio – non può essere qualificato come mera pertinenza del fabbricato in cui è svolta l’attività commerciale, configurandosi invece come manufatto autonomo, il quale, comportando una trasformazione del territorio, necessita del permesso di costruire.

“Gli elementi che caratterizzano la pertinenza urbanistica sono, – evidenzia il comandante –da un lato, l’esiguità quantitativa del manufatto, nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio, e, dall’altro, l’esistenza di un collegamento funzionale tra il manufatto e l’edificio principale, con la conseguente incapacità per il primo di essere utilizzato separatamente ed autonomamente rispetto al secondo. Pertanto, un’opera può definirsi accessoria nei riguardi di un’altra, da considerarsi principale, solo quando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose separare senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme”.

Conclude Sangiorgio – “si può affermare che se i manufatti hanno le caratteristiche definite sopra, devono essere autorizzate con permesso di costruire per non incorrere nell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità delle stesse al previsto trattamento sanzionatorio”.

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